La resilienza aziendale

Capire che cosa significa questa parole aiuta le aziende ad adottare il giusto modello di business.

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Il termine “resilienza” è entrato a tutto titolo nel nostro vocabolario quotidiano a partire dall’inizio della crisi pandemica da Covid 19. Tutti parlano di resilienza, in qualche modo, quasi fosse una sorta di nuovo “mood” nel campionario dell’intelligenza emotiva del nuovo millennio.

In realtà, vien da dire, soprattutto per le aziende, acquisire resilienza è sempre più urgente e importante, ma per farlo occorre essere chiari su ciò che significa e perché ne abbiamo così bisogno.

Una definizione di resilienza che possiamo facilmente indossare tutti quanti è quella riportata da Maria Vittoria D’Onghia sul blog di Treccani

resilienza [re-si-lièn-za] n.f.
  1. (fis.) proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi, rappresentata dal rapporto tra il lavoro necessario per rompere una barretta di un materiale e la sezione della barretta stessa
  2. capacità di resistere e di reagire di fronte a difficoltà, avversità, eventi negativi ecc.: resilienza sociale (cfr. garzantilinguistica.it)

Se proviamo a far aderire alla nostra vita personale queste definizioni di resilienza, troviamo sicuramente molti punti di contatto con le sfide che, chi più, chi meno, ognuno di noi è chiamato ad affrontare.

Per le aziende non è così immediato il parallelismo.

Cos’è la resilienza e aziendale

Nel 1987 Warren Bennis e Bart Nanus hanno disegnato una teoria descrittiva del panorama mondiale come conseguenza della guerra fredda. Questa teoria prende il nome di V.UC.A., un acronimo che significa:

V = Volatily (Volatilità)

U = Uncertainty (Incertezza)

C = Complexity (Complessità)

A = Ambiguity (Ambiguità)

Una volta che leggi questo, non puoi fare a meno di riconoscere che, anche a distanza di più di trent’anni, questa visione rimane incredibilmente attuale.

La crisi pandemica ha semplicemente fatto venire a galla una serie di fragilità tipiche delle aziende e delle organizzazioni che sono cresciute basandosi su modelli gestionali, organizzativi e di leadership conservativi, lineari, per non dire obsoleti.

Questi modelli si possono tutti riassumere con vecchi detti, molto diffusi nelle PMI italiane, soprattutto quelle a matrice familiare: “abbiamo sempre lavorato così”, “abbiamo sempre fatto così”, “questo è l’unico modo di lavorare che conosciamo” e via discorrendo.

Questo tipo di cultura non funziona più, soprattutto in tempi in cui la complessità aumenta, assieme all’incertezza e alla velocità dei cambiamenti, sia dal punto di vista tecnologico che sociale e, di conseguenza, delle logiche di mercato.

Pensa che solo fino a cinque anni fa non ti ponevi nemmeno lontanamente il problema di come è fatto il denaro: c’era l’euro, il dollaro, la sterlina e tutte le altre valute nazionali. Oggi esistono valute digitali, le cosiddette criptovalute, con le quali è già possibile fare transazioni a livello di borsa, acquistare un’auto o una casa. Ma non solo, sono nati anche nuovi meccanismi contrattuali che prevendono l’utilizzo di blockchain e criptovalute.  Magari ci torniamo in uno dei prossimi approfondimenti. 

Al di là delle definizioni (non sempre chiarissime a tutti) di questi termini, ti basti riflettere sul fatto che la rivoluzione tecnologica degli ultimi vent’anni ha portato cambiamenti così profondi che, dal punto di vista sociale ed economico, non è più possibile tornare indietro. Questo richiede un adeguamento di cultura e managerialità anche all’interno delle aziende.

Ecco quindi che la resilienza aziendale diventa la capacità di avere una visione più allargata del panorama economico e di mercato, accompagnata da una nuova disponibilità a comprendere e approfondire le nuove logiche ma anche le nuove tipologie di sfide e problemi. Questo richiede chiarezza e “agilità”, ovvero la disponibilità ad acquisire una mentalità aperta a soluzioni organizzative, produttive e gestionali più flessibili, riorganizzabili velocemente e, soprattutto, in grado di reggere gli urti del cambiamento senza spezzarsi.

Questo, dunque, ci dà l’opportunità di ridefinire il V.UC.A. in:

V = Vision (Visione)

U = Understanding (Comprensione)

C = Clarify (Chiarezza)

A = Agility (Agilità)

Stesso acronimo, ma approccio e significati differenti. Un po’ come dire: passiamo dal problema alla soluzione.

Come si sviluppa la resilienza aziendale

Esattamente come nella vita di ognuno di noi, ci sono persone che affrontano i cambiamenti con atteggiamento proattivo e una maggiore capacità di adattamento, all’opposto di altri che invece si paralizzano oppure vengono travolti dal cambiamento. La stessa cosa accade per le aziende.

Quando la cultura interna e i modelli organizzativi non sono orientati alla possibilità del cambiamento o, quantomeno, di una relazione dinamica con un mercato dinamico, complesso in continua e invitabile evoluzione, allora possiamo dire di aver sviluppato resilienza aziendale.

Arrivarci richiede un percorso, prima di tutto personale a livello di proprietà, di consiglio di amministrazione o, comunque, di direzione. Un percorso non aggirabile.

Non esistono scorciatoie, bisogna lavorare sui modelli che non funzionano e che rischiano di mandarci a fondo, trovando delle strade gestionali su misura di chi siamo e della nostra azienda. Una volta che la direzione ha capito e interiorizzato un piano culturale e strategico per sviluppare le nuove attitudini organizzative, diventa più facile e naturale, se non addirittura consequenziale, propagare tutto al resto dell’azienda.

Il punto più importante da cui partire per costruire in modo concreto ed efficace i nuovi muscoli della tua azienda?
Non ci stancheremo mai di dirlo: la gestione della liquidità. Perché quando ha il controllo della liquidità, hai il controllo del tuo ambiente.

Ma di questo, se vuoi, possiamo parlarne personalmente.

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